Le donne di casa reale
Tre donne diverse ma di carattere. Decisive. Istintive. Con la propria bellezza e saper fare hanno saputo incantare il popolo italiano, ognuna a modo suo. Tre principesse, tre regine, madri e mogli che hanno scritto le pagine della monarchia italiana. Della prima di loro dicevano che era nobile d’animo e molto amata dal popolo italiano. Felice del suo arrivo in terra sabauda, fu accolta con calore da schiere di contadine in festa che le lanciavano in omaggio al suo nome margherite. Partiamo in questo viaggio di conoscenza delle donne di casa reale di Savoia proprio da lei, la prima regina d’Italia, Margherita.
Margherita di Savoia, figlia di Ferdinando di Savoia, duca di Genova e fratello di Vittorio Emanuele II, e di Maria Elisabetta di Sassonia, nacque a Torino nel 1851. All’età di quattro anni rimase orfana di padre e con la sua famiglia, la madre e il fratello Tommaso, crebbe lontana dalla corte. Da ragazza ricevette l’educazione che i Savoia davano alle loro donne. Dalle sue istitutrici, soprattutto dalla seconda, una donna docile ed affettuosa, Margherita imparò ad amare pittura e musica. Con gli anni la giovane Margherita, bionda e di bel portamento, sviluppò un carattere religioso e conservatore. Le sue eccellenti qualità di comunicatrice e una grande passione per le arti le fecero guadagnare una notevole popolarità.
Margherita era profondamente legata alla sua terra d’origine e per evitare le nozze con il principe Carlo di Romenia, il suo promesso sposo, la futura regina decise di sposare, aveva 17 anni all’epoca, il cugino Umberto, erede al trono. I due celebrarono le nozze a Torino, nel Palazzo Reale, il 22 aprile 1868.
Quel giorno Margherita mostrò tutto il suo fascino. Vestita con un abito di faille bianco ricamato in argento, corpetto scollato e maniche corte, ornato con margherite, rose e fiori d’arancio ammaliò tutti i presenti. L’abito sontuoso fu fonte d'ispirazione poetica "O Margherita delle margherite", che scrisse per lei un anonimo ammiratore monzese.
Dieci anni più tardi, in seguito alla morte del suocero Vittorio Emanuele II di Savoia, Margherita diventò la prima regina d’Italia. Terminato il periodo di lutto, la coppia reale compì un viaggio attraverso l'Italia per farsi conoscere e per promuoversi quale simbolo dell'unione dell'Italia. Fu un successo, specialmente grazie al contegno di Margherita, che seppe accattivarsi le folle indossando i costumi regionali e dimostrando di apprezzarne cultura e tradizioni.
Il matrimonio con Umberto non fu proprio una favola d’amore. Si dice che il re ebbe tante avventure prima e durante l’unione con Margherita. Noto fu il suo legame con la contessa Cesarini Galli Hercolane dalla quale ebbe un figlio. Il suo grande amore fu Eugenia Attendolo Bolognini, la dama di compagnia di Margherita. La “Bolognina”, come la soprannominarono i Torinesi, restò al fianco del re, bella e discreta, fino alla sua morte. Le lingue maligne dicevano che a ogni avventura Umberto regalasse una collana di perle a Margherita, che guadagnò il nomignolo de “la regina più imperlata d’Europa”.
Margherita regnò in un periodo difficile, che vide la sottrazione di Roma allo stato pontificio ma grazie alle sue qualità raffinate ebbe grande influenza sia in famiglia che a corte. Come regina s’impegnò per promuovere “made in Italy”, a discapito dell’imperante francesismo dell’epoca, indossando sempre abiti e gioielli realizzati dai migliori artigiani del regno. Amava molto la cucina italiana. “Anche la regina Margherita mangia il pollo con le dita.” Diceva il detto popolare che si riferiva al cosciotto di pollo da lei assaggiato a Napoli usando direttamente le mani. La sua grande notorietà le fece dedicare pure delle ricette, tra cui le più famose sono torta Margherita, panforte Margherita e pizza Margherita.
La regina Margherita era molto amata non solo dal popolo, ma anche da poeti, come Giosuè Carducci e Minghetti, verso i quali nutriva affetto sincero e rispetto. Carducci, influenzato dalla regina, attenuò in parte il suo rigido repubblicanesimo e le dedicò l’Ode alla Regina d’Italia e il Liuto e la Lira. Era una donna forte ed affascinante che seppe raccogliere intorno alla monarchia l’élite culturale e artistica del tempo. Quando, però, si trattava di circostanze importanti, esercitava sul re e la corona un’influenza rigidamente conservatrice.
Il 29 luglio 1900, durante una visita ufficiale a Monza del re Umberto I e della regina Margherita, Gaetano Bresci, un anarchico emigrato in America uccise il sovrano che subì l’ennesimo attentato e ne rimase vittima. Da allora Margherita dovette adattarsi al ruolo di regina madre, un ruolo a margine, per niente facile da svolgere visto il suo carattere. Tutta la sua vita fino a quel momento era incentrata sul suo essere regina e si trovò a passare il timone a nuora Elena, che aveva un stile di vita completamente diverso. Dedicò allora il suo tempo alla beneficenza e allo sviluppo della cultura, dando il suo appoggio agli artisti e letterati. Fu per il suo volere che nacque la prima scuola elementare del regno.
Durante la guerra la regina madre si rifugiò a Bordighera, luogo in cui aveva trovato pace quando Umberto subì i primi attentati. La sua residenza romana divenne l’ospedale. Finito il conflitto Margherita non nascose la sua simpatia verso Mussolini e il fascismo di cui era fiancheggiatrice. Il Duce fu ossequioso con la regina e lei dichiarò in varie occasioni ed interviste la sua riconoscenza nei suoi riguardi.
Ultimi mesi della sua vita li trascorse a Bordighera, dove morì il 4 gennaio 1926.
Abbiamo menzionato Elena, la bella e dolce nuora di Margherita. La straniera, proveniente da un paese sconosciuto per i sudditi che col tempo hanno imparato ad amarla per quello che era. Affascinante e misteriosa ma buona nell’animo. La principessa Jelena Petrović-Njegoš, per noi Elena di Montenegro, nacque l’8 gennaio 1873 nella modestissima Cetinje (si legge Cettigne), la capitale di allora del piccolo principato balcanico. Elena era la sesta figlia del principe Nicola I e viveva con la famiglia in una casa poco più grande delle altre abitazioni del borgo.
La giovane Elena fu cresciuta con i valori forti dell’unione familiare. Alla tavola dei sovrani del Montenegro le conversazioni si svolgevano in francese. Si discuteva con naturalezza e disinvoltura non solo di politica ma soprattutto di poesia che la principessa amava particolarmente. La sua passione per i versi la portò alla scrittura. Le sue poesie, firmate con il nome di Farfalla Azzurra, venivano pubblicate sulla rivista letteraria russa Nedelja (Domenica). Riservata e schiva ma di carattere molto forte e determinante, Elena era dotata di una sensibilità unica e una mente brillante e curiosa che l’ha portata ad avere interesse particolare per la natura.
Come tutte le principesse slave, andò a studiare a Pietroburgo e frequentò assiduamente la corte dei Romanov. Fu proprio allora che Elena scrisse le sue più belle poesie romantiche, apprezzate molto dal padre, noto per essere grande amante della poesia e non solo. Nicola imparentò tutte le sue figlie con le diverse case reali europee, tanto che lo chiamarono “suocero d’Europa”. La figlia Elena, nel 1895, venne destinata alla famiglia reale italiana, poiché la regina Margherita, madre del principe Vittorio Emanuele, preoccupata per le sorti del suo unico figlio decise, in accordo con il primo ministro Francesco Crispi, che i due giovani si sarebbero dovuti incontrare nel teatro La Fenice di Venezia, in una serata di gala in occasione dell’Esposizione Internazionale d’Arte.
Il principe Vittorio Emanuele detestava i matrimoni “combinati”, voleva sposarsi per amore. Quando, però, vide Elena per la prima volta, la giovane aveva un vestito rosa che secondo Margherita era troppo appariscente, ne rimase colpito. L’incontro fu talmente fatale per l’erede al trono che si innamorò subito. Prima del fidanzamento ufficiale in Montenegro i due si rividero in Russia. Al ritorno in Italia, la coppia sbarcò a Bari, ed Elena, che era di fede cristiano-ortodossa, fu costretta ad abiurare.
La cerimonia ebbe luogo nella cripta della Cattedrale di San Nicola. Quel giorno, raccontano le cronache dell’epoca, la principessa era triste e venne consolata dal futuro marito, che la tese per la mano. Il matrimonio fra i due avvenne il 26 ottobre 1896, prima in forma civile al Quirinale, poi secondo il rito cattolico nella chiesa di Santa Maria degli Angeli in piazza Esedra a Roma. La cerimonia, complice anche la sconfitta di Adua di marzo, venne celebrata in maniera molto semplice, tanto da far storcere il naso alla nobiltà e la borghesia italiana che definì la festa “nozze coi fichi secchi”.
La loro unione era caratterizzata da tanta semplicità, a partire dalla scelta per il viaggio di nozze, fatto nell’isola toscana di Montecristo. Per quattro anni si goderono il loro amore in totale riservatezza, facendo inorridire la regina Margherita che avrebbe voluto al più presto un erede al trono. Inoltre, non trovava di suo gusto il comportamento di Elena, a suo avviso poco consono agli standard di corte.
Elena sembrò non dare peso alle critiche della suocera e si dedicò soltanto al marito, assecondandolo in tutti i suoi interessi. Se lui amava la fotografia, anche lei si appassionava e fece preparare una camera scura nei loro appartamenti. Se il consorte collezionava monete, lei raccoglieva in splendidi album dei francobolli. Per l’amore del futuro re, Elena smise di suonare il violino ma continuò a scrivere poesie, seppur di contenuto morale per non urtare il marito. L’ultima sua poesia è del 1904, pubblicata in latino nella rivista russa Nedelja, sempre con lo pseudonimo “La farfalla azzurra”, ripresa poi dalla rivista berlinese Das Aussere e firmata “Elena, Regina d’Italia”, tradotta infine in italiano e pubblicata dal Corriere della Sera il 17 luglio 1905.
Elena apprendeva facilmente le lingue e i dialetti, migliorò il francese appreso alla corte di Montenegro, fece da traduttrice al marito per il russo, il serbo e il greco moderno, tenendogli in ordine l’emeroteca dei giornali stranieri. E imparò pure il dialetto piemontese, anche se in modo non perfetto, giusto quel tanto che bastò per capirlo quando il marito si rivolgeva a lei in piemontese, diceva con l’ammirazione il suocero Umberto I. In seguito all’assassinio del padre, l’11 agosto 1900 Vittorio Emanuele salì al trono, ed Elena divenne regina. Raramente, poi, il re parlerà di lei in quei termini, diceva piuttosto modestamente “mia moglie”. Poco dopo la salita al trono nacquero la figlia primogenita Jolanda (nel 1901), a cui seguiranno Mafalda (1902), l’erede al trono Umberto (1904), Giovanna (1907) e Maria Francesca (1914). Il comportamento di Elena risultò totalmente opposto a quello della regina madre, che guardava sempre più con disprezzo l’atteggiamento di Elena, la quale non teneva come Margherita dei salotti letterati ma si preoccupava solo e soltanto della famiglia e di suo marito.
Elena era di una semplicità disarmante. Indossava spesso il grembiule per aiutare le cameriere, curava da sola ogni particolare dei ricevimenti alla corte. Insegnò alle sue figlie a preparare dolci e a cucire a macchina. Le piacevano le cose semplici, come farsi leggere i tarocchi da una delle sue dame di compagnia. Anche per questo suo lato del carattere si fece amare dal suo popolo adottivo. Inoltre, era sempre pronta ad aiutare il prossimo. Fu proprio lei una delle prime persone a muoversi dopo la catastrofe del terremoto di Messina del 28 dicembre 1908 dedicandosi subito ai soccorsi. Durante la Grande Guerra del 1915-18, Elena smise i suoi abiti da regina e divenne crocerossina a tempo pieno, trasformando, insieme alla regina madre, sia il Quirinale che Villa Margherita in ospedali da campo.
A guerra finita la regina si interessò sempre di più ai malati e poveri. Nel 1927 assunse l’alto patronato della Lega italiana per la lotta contro il cancro. A Roma venne creato, anni più tardi, l’istituto Regina Elena, un complesso clinico-ospedaliero di notevole valore. Era anche solita recarsi nei quartieri poveri della capitale per far visita sia ai diseredati che malati. Portava loro denaro e conforto. Spesso non si faceva neppure riconoscere per non dare scalpore. Le sue opere rimasero nel cuore di tutti gli italiani, tanto da venire poi insignita dal papa Pio XI, il 15 aprile del 1937, della Rosa d’oro della Cristianità, la più importante onorificenza possibile, a quei tempi, per una donna.
Il 18 dicembre 1935, fu lei a dare l’esempio agli italiani in pieno fascismo regalando alla Patria la sua fede nuziale che, come scrisse a Mussolini, rappresentava la cosa più cara che avesse. Insisteva nel chiamarlo “Signor Presidente”, e non “Duce” come lui preferiva e per questo si arrabbiò. Elena, anche in questo caso, era in opposizione con la suocera Margherita che appoggiava apertamente il nuovo regime.
Nel 1936, con la conquista dell’Impero d’Etiopia, Elena assunse anche il titolo di Imperatrice. Nel 1939, poco dopo l’invasione tedesca della Polonia occidentale, la Regina scrisse una lettera tanto toccante quanto inascoltata a sei sovrane di sei nazioni europee ancora neutrali, quali il Belgio, la Jugoslavia, il Lussemburgo, Danimarca, Paesi Bassi e Bulgaria al fine di scongiurare un’altra inutile catastrofe mondiale. All’alba del 9 settembre 1943, la Regina seguì suo marito e il governo fino a Brindisi, dove venne eretto poi il Regno del Sud, sotto controllo anglo-americano.
Nel frattempo la sua figlia Mafalda venne arrestata e mandata in un campo di concentramento dove morirà il 28 agosto 1944. Al termine del conflitto, il 9 maggio 1946 Re Vittorio Emanuele III abdicò a favore del figlio Umberto. Lui ed Elena andarono in esilio in Egitto. Abitarono a Villa Jela, ad Alessandria, ospiti di re Farouk che volle ricambiare l’ospitalità data suo tempo dal re italiano a suo padre. Elena restò lì fino alla morte del marito, 28 dicembre del 1947. Proprio in esilio i due coniugi festeggiarono il cinquantesimo anniversario di matrimonio. In seguito alla morte di Vittorio Emanuele la Regina andò a vivere a Montpellier, dove morì, da qualche tempo malata di cancro, il 28 novembre del 1952. Fu sepolta, come sua ultima volontà, in una comune tomba del cimitero di Montpellier.
L’ultima regina d’Italia fu Maria José, la nuora di Elena di Savoia, nota come “regina di maggio”. Maria José Carlotta Sofia Amelia Enrichetta Gabriella di Sassonia Coburgo Gotha, nacque il 4 agosto 1906 a Ostenda. Fu la terzogenita di Alberto I del Belgio e di Elisabetta Wittelsback, nipote di Sissi, sovrani del Belgio dal 1909 al 1934. Bella e curiosa, anticonformista come la madre dalla quale ereditò anche la passione per la musica. Tenace come padre e l’amante dell’alpinismo come lui. Allegra e spensierata crebbe senza imposizioni coltivando diversi interessi come suonare pianoforte e violino, praticare sport e leggere.
Fin dalla nascita il suo destino venne segnato dalla promessa di andare in sposa ad un Re, e non uno qualsiasi. Quel Re fu il figlio maschio di casa Savoia Umberto. I due si incontrarono per la prima volta da ragazzi, lei aveva dodici e lui 14 anni, durante la visita ufficiale dei reali del Belgio. Maria José, che fu cresciuta ed educata con l’idea che un giorno avrebbe sposato il principe, si innamorò perdutamente di Umberto.
Dal 1914 al 1917 Maria José studiò in Inghilterra, all’epoca in cui i tedeschi occuparono il Belgio per la prima volta, poi in Italia, nel Collegio dell'Annunziata di Poggio Imperiale, presso Firenze, con i figli della migliore nobiltà italiana ed europea. Le cronache di quei tempi dicono che sul suo comodino ci fosse sempre una fotografia di Umberto. Passarono gli anni. Il giovane principe Umberto dopo aver rimandato più volte il matrimonio per colpa di sue numerose storie con altre donne, su preciso ordine del padre, chiese ufficialmente la mano della principessa belga il 7 settembre del 1929. Maria José fu al settimo cielo. Il fidanzamento ufficiale con il futuro Re di Maggio avvenne il 24 ottobre del 1929.
I due futuri sposi erano così diversi. Umberto era sensibile e piuttosto solitario e taciturno, educato seguendo dei severi protocolli di corte italiani. Maria José il suo opposto. Allegra ed istintiva, amava la compagnia. La principessa arrivò ufficialmente in Italia per celebrare le sue nozze il 4 gennaio 1930, tra il giubilo della folla. L'8 gennaio nella cappella Paolina del Quirinale venne celebrato il matrimonio con Umberto.
Era da poco in Italia però Maria José presto si rese conto della cruda realtà del fascismo. Lei che era cresciuta in un paese democratico, dove gli ideali come giustizia, libertà, uguaglianza e difesa dei più poveri vennero insegnati dallo stesso re, suo padre, si trovò a dover subire le intimidazioni del governo. Il suo nome era troppo straniero per i gusti di Mussolini che insistette che firmasse l’atto di matrimonio come Maria Giuseppina ma lei si rifiutò. Le pressioni non cessarono nel corso degli anni e i giornali, per obbedire al duce e non scontentare la principessa la chiamarono semplicemente Maria di Piemonte.
Gli sposi passarono gli anni seguenti tra il palazzo reale di Torino, il castello di Racconigi, Napoli, la residenza di Sant'Anna di Valdieri in Piemonte e il castello di Sarre in Val d'Aosta. Nel 1934 nacque la loro prima figlia Maria Pia. Venne poi Vittorio Emanuele, nato nel 1937, e rispettivamente nel 1940 e 1943 le loro ultime figlie, Maria Gabriella e Maria Beatrice. Il matrimonio non fu tanto felice. Si parlasse del loro rapporto in crisi soprattutto per innumerevoli tradimenti del principe però non mancarono nemmeno le insinuazioni su di lei.
Nonostante non fosse vista di buon occhio dagli alti gradi di governo, a causa delle sue esternazioni ostili al fascismo e a Mussolini, la bella principessa si diede molto da fare per la nazione. Si recò sul suolo africano per motivi umanitari in occasione dell'occupazione di Etiopia del 1935 e il regime sfruttò la sua presenza per dipingerla come una sorta di paladina delle camice nere. Nel 1939, quando scoppiò il secondo conflitto mondiale, Maria José era di nuovo in Africa a dare una mano ai soccorsi, come testimonia la sua nomina a presidente della Croce Rossa Italiana.
Non le piacque che l’Italia si fosse schierata al fianco della Germania nazista. Maria di Piemonte non tardò a esprimere la sua disapprovazione e chiese apertamente agli alleati di porre la fine delle ostilità belliche. Per quel suo gesto il re Vittorio Emanuele III la confinò a Sant'Anna di Valdieri, in provincia di Cuneo, nella casa estiva dei Savoia.
Qualche tempo dopo, a seguito dell'Armistizio di Cassibile del 8 settembre 1943, la principessa decise di rifugiarsi in Svizzera portando con sé anche i suoi quattro figli. Si ricongiunse con il resto della famiglia solo a guerra conclusa. Quando, poi, il 9 maggio 1946 Umberto, in seguito all’abdicazione del padre, divenne re d’Italia, Maria José, seppur per meno di un mese, assunse il titolo dell’ultima regina, “regina di maggio”. Non accolse la notizia con entusiasmo, era cosciente che il referendum, svoltosi il 2 giugno, avrebbe portato all’abolizione della monarchia.
Così fu. I Savoia furono costretti a lasciare l’Italia. Prima partì Maria José per il Portogallo, il marito la raggiunse una settimana dopo a Cascais ma si separarono quasi subito. La regina con il figlio si stabilì in Svizzera mentre le figlie rimasero con il padre in Portogallo. La raggiungeranno solo qualche anno più tardi.
Dopo che il divieto di ingresso e soggiorno fu sancito dalla Costituzione del 1948, Maria José fu finalmente libera di vivere la sua vita lontano dal marito senza dover più fingere per seguire le rigide regole reali. Incontrava il marito solo per le occasioni ufficiali. Tornò in Italia legalmente nel marzo 1988 per un convegno storico.
Nel 1992 Maria José si trasferì in Messico per qualche tempo, per tornare poi a Ginevra, dalla figlia Maria Gabriella, nel 1996. Si spense il 27 gennaio 2001. Per suo espresso volere venne sepolta nella storica abbazia di Altacomba, in Alta Savoia, dove dal marzo del 1983 riposa anche la salma del marito Umberto.
©2013 Emina Ristovic, The Italian Heritage Magazine
Margherita di Savoia, figlia di Ferdinando di Savoia, duca di Genova e fratello di Vittorio Emanuele II, e di Maria Elisabetta di Sassonia, nacque a Torino nel 1851. All’età di quattro anni rimase orfana di padre e con la sua famiglia, la madre e il fratello Tommaso, crebbe lontana dalla corte. Da ragazza ricevette l’educazione che i Savoia davano alle loro donne. Dalle sue istitutrici, soprattutto dalla seconda, una donna docile ed affettuosa, Margherita imparò ad amare pittura e musica. Con gli anni la giovane Margherita, bionda e di bel portamento, sviluppò un carattere religioso e conservatore. Le sue eccellenti qualità di comunicatrice e una grande passione per le arti le fecero guadagnare una notevole popolarità.
Margherita era profondamente legata alla sua terra d’origine e per evitare le nozze con il principe Carlo di Romenia, il suo promesso sposo, la futura regina decise di sposare, aveva 17 anni all’epoca, il cugino Umberto, erede al trono. I due celebrarono le nozze a Torino, nel Palazzo Reale, il 22 aprile 1868.
Quel giorno Margherita mostrò tutto il suo fascino. Vestita con un abito di faille bianco ricamato in argento, corpetto scollato e maniche corte, ornato con margherite, rose e fiori d’arancio ammaliò tutti i presenti. L’abito sontuoso fu fonte d'ispirazione poetica "O Margherita delle margherite", che scrisse per lei un anonimo ammiratore monzese.
Dieci anni più tardi, in seguito alla morte del suocero Vittorio Emanuele II di Savoia, Margherita diventò la prima regina d’Italia. Terminato il periodo di lutto, la coppia reale compì un viaggio attraverso l'Italia per farsi conoscere e per promuoversi quale simbolo dell'unione dell'Italia. Fu un successo, specialmente grazie al contegno di Margherita, che seppe accattivarsi le folle indossando i costumi regionali e dimostrando di apprezzarne cultura e tradizioni.
Il matrimonio con Umberto non fu proprio una favola d’amore. Si dice che il re ebbe tante avventure prima e durante l’unione con Margherita. Noto fu il suo legame con la contessa Cesarini Galli Hercolane dalla quale ebbe un figlio. Il suo grande amore fu Eugenia Attendolo Bolognini, la dama di compagnia di Margherita. La “Bolognina”, come la soprannominarono i Torinesi, restò al fianco del re, bella e discreta, fino alla sua morte. Le lingue maligne dicevano che a ogni avventura Umberto regalasse una collana di perle a Margherita, che guadagnò il nomignolo de “la regina più imperlata d’Europa”.
Margherita regnò in un periodo difficile, che vide la sottrazione di Roma allo stato pontificio ma grazie alle sue qualità raffinate ebbe grande influenza sia in famiglia che a corte. Come regina s’impegnò per promuovere “made in Italy”, a discapito dell’imperante francesismo dell’epoca, indossando sempre abiti e gioielli realizzati dai migliori artigiani del regno. Amava molto la cucina italiana. “Anche la regina Margherita mangia il pollo con le dita.” Diceva il detto popolare che si riferiva al cosciotto di pollo da lei assaggiato a Napoli usando direttamente le mani. La sua grande notorietà le fece dedicare pure delle ricette, tra cui le più famose sono torta Margherita, panforte Margherita e pizza Margherita.
La regina Margherita era molto amata non solo dal popolo, ma anche da poeti, come Giosuè Carducci e Minghetti, verso i quali nutriva affetto sincero e rispetto. Carducci, influenzato dalla regina, attenuò in parte il suo rigido repubblicanesimo e le dedicò l’Ode alla Regina d’Italia e il Liuto e la Lira. Era una donna forte ed affascinante che seppe raccogliere intorno alla monarchia l’élite culturale e artistica del tempo. Quando, però, si trattava di circostanze importanti, esercitava sul re e la corona un’influenza rigidamente conservatrice.
Il 29 luglio 1900, durante una visita ufficiale a Monza del re Umberto I e della regina Margherita, Gaetano Bresci, un anarchico emigrato in America uccise il sovrano che subì l’ennesimo attentato e ne rimase vittima. Da allora Margherita dovette adattarsi al ruolo di regina madre, un ruolo a margine, per niente facile da svolgere visto il suo carattere. Tutta la sua vita fino a quel momento era incentrata sul suo essere regina e si trovò a passare il timone a nuora Elena, che aveva un stile di vita completamente diverso. Dedicò allora il suo tempo alla beneficenza e allo sviluppo della cultura, dando il suo appoggio agli artisti e letterati. Fu per il suo volere che nacque la prima scuola elementare del regno.
Durante la guerra la regina madre si rifugiò a Bordighera, luogo in cui aveva trovato pace quando Umberto subì i primi attentati. La sua residenza romana divenne l’ospedale. Finito il conflitto Margherita non nascose la sua simpatia verso Mussolini e il fascismo di cui era fiancheggiatrice. Il Duce fu ossequioso con la regina e lei dichiarò in varie occasioni ed interviste la sua riconoscenza nei suoi riguardi.
Ultimi mesi della sua vita li trascorse a Bordighera, dove morì il 4 gennaio 1926.
Abbiamo menzionato Elena, la bella e dolce nuora di Margherita. La straniera, proveniente da un paese sconosciuto per i sudditi che col tempo hanno imparato ad amarla per quello che era. Affascinante e misteriosa ma buona nell’animo. La principessa Jelena Petrović-Njegoš, per noi Elena di Montenegro, nacque l’8 gennaio 1873 nella modestissima Cetinje (si legge Cettigne), la capitale di allora del piccolo principato balcanico. Elena era la sesta figlia del principe Nicola I e viveva con la famiglia in una casa poco più grande delle altre abitazioni del borgo.
La giovane Elena fu cresciuta con i valori forti dell’unione familiare. Alla tavola dei sovrani del Montenegro le conversazioni si svolgevano in francese. Si discuteva con naturalezza e disinvoltura non solo di politica ma soprattutto di poesia che la principessa amava particolarmente. La sua passione per i versi la portò alla scrittura. Le sue poesie, firmate con il nome di Farfalla Azzurra, venivano pubblicate sulla rivista letteraria russa Nedelja (Domenica). Riservata e schiva ma di carattere molto forte e determinante, Elena era dotata di una sensibilità unica e una mente brillante e curiosa che l’ha portata ad avere interesse particolare per la natura.
Come tutte le principesse slave, andò a studiare a Pietroburgo e frequentò assiduamente la corte dei Romanov. Fu proprio allora che Elena scrisse le sue più belle poesie romantiche, apprezzate molto dal padre, noto per essere grande amante della poesia e non solo. Nicola imparentò tutte le sue figlie con le diverse case reali europee, tanto che lo chiamarono “suocero d’Europa”. La figlia Elena, nel 1895, venne destinata alla famiglia reale italiana, poiché la regina Margherita, madre del principe Vittorio Emanuele, preoccupata per le sorti del suo unico figlio decise, in accordo con il primo ministro Francesco Crispi, che i due giovani si sarebbero dovuti incontrare nel teatro La Fenice di Venezia, in una serata di gala in occasione dell’Esposizione Internazionale d’Arte.
Il principe Vittorio Emanuele detestava i matrimoni “combinati”, voleva sposarsi per amore. Quando, però, vide Elena per la prima volta, la giovane aveva un vestito rosa che secondo Margherita era troppo appariscente, ne rimase colpito. L’incontro fu talmente fatale per l’erede al trono che si innamorò subito. Prima del fidanzamento ufficiale in Montenegro i due si rividero in Russia. Al ritorno in Italia, la coppia sbarcò a Bari, ed Elena, che era di fede cristiano-ortodossa, fu costretta ad abiurare.
La cerimonia ebbe luogo nella cripta della Cattedrale di San Nicola. Quel giorno, raccontano le cronache dell’epoca, la principessa era triste e venne consolata dal futuro marito, che la tese per la mano. Il matrimonio fra i due avvenne il 26 ottobre 1896, prima in forma civile al Quirinale, poi secondo il rito cattolico nella chiesa di Santa Maria degli Angeli in piazza Esedra a Roma. La cerimonia, complice anche la sconfitta di Adua di marzo, venne celebrata in maniera molto semplice, tanto da far storcere il naso alla nobiltà e la borghesia italiana che definì la festa “nozze coi fichi secchi”.
La loro unione era caratterizzata da tanta semplicità, a partire dalla scelta per il viaggio di nozze, fatto nell’isola toscana di Montecristo. Per quattro anni si goderono il loro amore in totale riservatezza, facendo inorridire la regina Margherita che avrebbe voluto al più presto un erede al trono. Inoltre, non trovava di suo gusto il comportamento di Elena, a suo avviso poco consono agli standard di corte.
Elena sembrò non dare peso alle critiche della suocera e si dedicò soltanto al marito, assecondandolo in tutti i suoi interessi. Se lui amava la fotografia, anche lei si appassionava e fece preparare una camera scura nei loro appartamenti. Se il consorte collezionava monete, lei raccoglieva in splendidi album dei francobolli. Per l’amore del futuro re, Elena smise di suonare il violino ma continuò a scrivere poesie, seppur di contenuto morale per non urtare il marito. L’ultima sua poesia è del 1904, pubblicata in latino nella rivista russa Nedelja, sempre con lo pseudonimo “La farfalla azzurra”, ripresa poi dalla rivista berlinese Das Aussere e firmata “Elena, Regina d’Italia”, tradotta infine in italiano e pubblicata dal Corriere della Sera il 17 luglio 1905.
Elena apprendeva facilmente le lingue e i dialetti, migliorò il francese appreso alla corte di Montenegro, fece da traduttrice al marito per il russo, il serbo e il greco moderno, tenendogli in ordine l’emeroteca dei giornali stranieri. E imparò pure il dialetto piemontese, anche se in modo non perfetto, giusto quel tanto che bastò per capirlo quando il marito si rivolgeva a lei in piemontese, diceva con l’ammirazione il suocero Umberto I. In seguito all’assassinio del padre, l’11 agosto 1900 Vittorio Emanuele salì al trono, ed Elena divenne regina. Raramente, poi, il re parlerà di lei in quei termini, diceva piuttosto modestamente “mia moglie”. Poco dopo la salita al trono nacquero la figlia primogenita Jolanda (nel 1901), a cui seguiranno Mafalda (1902), l’erede al trono Umberto (1904), Giovanna (1907) e Maria Francesca (1914). Il comportamento di Elena risultò totalmente opposto a quello della regina madre, che guardava sempre più con disprezzo l’atteggiamento di Elena, la quale non teneva come Margherita dei salotti letterati ma si preoccupava solo e soltanto della famiglia e di suo marito.
Elena era di una semplicità disarmante. Indossava spesso il grembiule per aiutare le cameriere, curava da sola ogni particolare dei ricevimenti alla corte. Insegnò alle sue figlie a preparare dolci e a cucire a macchina. Le piacevano le cose semplici, come farsi leggere i tarocchi da una delle sue dame di compagnia. Anche per questo suo lato del carattere si fece amare dal suo popolo adottivo. Inoltre, era sempre pronta ad aiutare il prossimo. Fu proprio lei una delle prime persone a muoversi dopo la catastrofe del terremoto di Messina del 28 dicembre 1908 dedicandosi subito ai soccorsi. Durante la Grande Guerra del 1915-18, Elena smise i suoi abiti da regina e divenne crocerossina a tempo pieno, trasformando, insieme alla regina madre, sia il Quirinale che Villa Margherita in ospedali da campo.
A guerra finita la regina si interessò sempre di più ai malati e poveri. Nel 1927 assunse l’alto patronato della Lega italiana per la lotta contro il cancro. A Roma venne creato, anni più tardi, l’istituto Regina Elena, un complesso clinico-ospedaliero di notevole valore. Era anche solita recarsi nei quartieri poveri della capitale per far visita sia ai diseredati che malati. Portava loro denaro e conforto. Spesso non si faceva neppure riconoscere per non dare scalpore. Le sue opere rimasero nel cuore di tutti gli italiani, tanto da venire poi insignita dal papa Pio XI, il 15 aprile del 1937, della Rosa d’oro della Cristianità, la più importante onorificenza possibile, a quei tempi, per una donna.
Il 18 dicembre 1935, fu lei a dare l’esempio agli italiani in pieno fascismo regalando alla Patria la sua fede nuziale che, come scrisse a Mussolini, rappresentava la cosa più cara che avesse. Insisteva nel chiamarlo “Signor Presidente”, e non “Duce” come lui preferiva e per questo si arrabbiò. Elena, anche in questo caso, era in opposizione con la suocera Margherita che appoggiava apertamente il nuovo regime.
Nel 1936, con la conquista dell’Impero d’Etiopia, Elena assunse anche il titolo di Imperatrice. Nel 1939, poco dopo l’invasione tedesca della Polonia occidentale, la Regina scrisse una lettera tanto toccante quanto inascoltata a sei sovrane di sei nazioni europee ancora neutrali, quali il Belgio, la Jugoslavia, il Lussemburgo, Danimarca, Paesi Bassi e Bulgaria al fine di scongiurare un’altra inutile catastrofe mondiale. All’alba del 9 settembre 1943, la Regina seguì suo marito e il governo fino a Brindisi, dove venne eretto poi il Regno del Sud, sotto controllo anglo-americano.
Nel frattempo la sua figlia Mafalda venne arrestata e mandata in un campo di concentramento dove morirà il 28 agosto 1944. Al termine del conflitto, il 9 maggio 1946 Re Vittorio Emanuele III abdicò a favore del figlio Umberto. Lui ed Elena andarono in esilio in Egitto. Abitarono a Villa Jela, ad Alessandria, ospiti di re Farouk che volle ricambiare l’ospitalità data suo tempo dal re italiano a suo padre. Elena restò lì fino alla morte del marito, 28 dicembre del 1947. Proprio in esilio i due coniugi festeggiarono il cinquantesimo anniversario di matrimonio. In seguito alla morte di Vittorio Emanuele la Regina andò a vivere a Montpellier, dove morì, da qualche tempo malata di cancro, il 28 novembre del 1952. Fu sepolta, come sua ultima volontà, in una comune tomba del cimitero di Montpellier.
L’ultima regina d’Italia fu Maria José, la nuora di Elena di Savoia, nota come “regina di maggio”. Maria José Carlotta Sofia Amelia Enrichetta Gabriella di Sassonia Coburgo Gotha, nacque il 4 agosto 1906 a Ostenda. Fu la terzogenita di Alberto I del Belgio e di Elisabetta Wittelsback, nipote di Sissi, sovrani del Belgio dal 1909 al 1934. Bella e curiosa, anticonformista come la madre dalla quale ereditò anche la passione per la musica. Tenace come padre e l’amante dell’alpinismo come lui. Allegra e spensierata crebbe senza imposizioni coltivando diversi interessi come suonare pianoforte e violino, praticare sport e leggere.
Fin dalla nascita il suo destino venne segnato dalla promessa di andare in sposa ad un Re, e non uno qualsiasi. Quel Re fu il figlio maschio di casa Savoia Umberto. I due si incontrarono per la prima volta da ragazzi, lei aveva dodici e lui 14 anni, durante la visita ufficiale dei reali del Belgio. Maria José, che fu cresciuta ed educata con l’idea che un giorno avrebbe sposato il principe, si innamorò perdutamente di Umberto.
Dal 1914 al 1917 Maria José studiò in Inghilterra, all’epoca in cui i tedeschi occuparono il Belgio per la prima volta, poi in Italia, nel Collegio dell'Annunziata di Poggio Imperiale, presso Firenze, con i figli della migliore nobiltà italiana ed europea. Le cronache di quei tempi dicono che sul suo comodino ci fosse sempre una fotografia di Umberto. Passarono gli anni. Il giovane principe Umberto dopo aver rimandato più volte il matrimonio per colpa di sue numerose storie con altre donne, su preciso ordine del padre, chiese ufficialmente la mano della principessa belga il 7 settembre del 1929. Maria José fu al settimo cielo. Il fidanzamento ufficiale con il futuro Re di Maggio avvenne il 24 ottobre del 1929.
I due futuri sposi erano così diversi. Umberto era sensibile e piuttosto solitario e taciturno, educato seguendo dei severi protocolli di corte italiani. Maria José il suo opposto. Allegra ed istintiva, amava la compagnia. La principessa arrivò ufficialmente in Italia per celebrare le sue nozze il 4 gennaio 1930, tra il giubilo della folla. L'8 gennaio nella cappella Paolina del Quirinale venne celebrato il matrimonio con Umberto.
Era da poco in Italia però Maria José presto si rese conto della cruda realtà del fascismo. Lei che era cresciuta in un paese democratico, dove gli ideali come giustizia, libertà, uguaglianza e difesa dei più poveri vennero insegnati dallo stesso re, suo padre, si trovò a dover subire le intimidazioni del governo. Il suo nome era troppo straniero per i gusti di Mussolini che insistette che firmasse l’atto di matrimonio come Maria Giuseppina ma lei si rifiutò. Le pressioni non cessarono nel corso degli anni e i giornali, per obbedire al duce e non scontentare la principessa la chiamarono semplicemente Maria di Piemonte.
Gli sposi passarono gli anni seguenti tra il palazzo reale di Torino, il castello di Racconigi, Napoli, la residenza di Sant'Anna di Valdieri in Piemonte e il castello di Sarre in Val d'Aosta. Nel 1934 nacque la loro prima figlia Maria Pia. Venne poi Vittorio Emanuele, nato nel 1937, e rispettivamente nel 1940 e 1943 le loro ultime figlie, Maria Gabriella e Maria Beatrice. Il matrimonio non fu tanto felice. Si parlasse del loro rapporto in crisi soprattutto per innumerevoli tradimenti del principe però non mancarono nemmeno le insinuazioni su di lei.
Nonostante non fosse vista di buon occhio dagli alti gradi di governo, a causa delle sue esternazioni ostili al fascismo e a Mussolini, la bella principessa si diede molto da fare per la nazione. Si recò sul suolo africano per motivi umanitari in occasione dell'occupazione di Etiopia del 1935 e il regime sfruttò la sua presenza per dipingerla come una sorta di paladina delle camice nere. Nel 1939, quando scoppiò il secondo conflitto mondiale, Maria José era di nuovo in Africa a dare una mano ai soccorsi, come testimonia la sua nomina a presidente della Croce Rossa Italiana.
Non le piacque che l’Italia si fosse schierata al fianco della Germania nazista. Maria di Piemonte non tardò a esprimere la sua disapprovazione e chiese apertamente agli alleati di porre la fine delle ostilità belliche. Per quel suo gesto il re Vittorio Emanuele III la confinò a Sant'Anna di Valdieri, in provincia di Cuneo, nella casa estiva dei Savoia.
Qualche tempo dopo, a seguito dell'Armistizio di Cassibile del 8 settembre 1943, la principessa decise di rifugiarsi in Svizzera portando con sé anche i suoi quattro figli. Si ricongiunse con il resto della famiglia solo a guerra conclusa. Quando, poi, il 9 maggio 1946 Umberto, in seguito all’abdicazione del padre, divenne re d’Italia, Maria José, seppur per meno di un mese, assunse il titolo dell’ultima regina, “regina di maggio”. Non accolse la notizia con entusiasmo, era cosciente che il referendum, svoltosi il 2 giugno, avrebbe portato all’abolizione della monarchia.
Così fu. I Savoia furono costretti a lasciare l’Italia. Prima partì Maria José per il Portogallo, il marito la raggiunse una settimana dopo a Cascais ma si separarono quasi subito. La regina con il figlio si stabilì in Svizzera mentre le figlie rimasero con il padre in Portogallo. La raggiungeranno solo qualche anno più tardi.
Dopo che il divieto di ingresso e soggiorno fu sancito dalla Costituzione del 1948, Maria José fu finalmente libera di vivere la sua vita lontano dal marito senza dover più fingere per seguire le rigide regole reali. Incontrava il marito solo per le occasioni ufficiali. Tornò in Italia legalmente nel marzo 1988 per un convegno storico.
Nel 1992 Maria José si trasferì in Messico per qualche tempo, per tornare poi a Ginevra, dalla figlia Maria Gabriella, nel 1996. Si spense il 27 gennaio 2001. Per suo espresso volere venne sepolta nella storica abbazia di Altacomba, in Alta Savoia, dove dal marzo del 1983 riposa anche la salma del marito Umberto.
©2013 Emina Ristovic, The Italian Heritage Magazine